Scritto da Francesca
Letto da Mia
Sono le 8.30 di una calda sera estiva, per strada non c’è nessuno. Sto tornando a casa a piedi dall’ortolano: avevo voglia di frutta fresca. Ho due sacchi pieni di limoni, fichi, ciliegie, albicocche e pesche. Cammino con lentezza, spossata dal caldo: ci saranno almeno 32°. Indosso un lungo vestito a fiori verde, ampio, che si appiccica alla pelle sudata. Ai piedi, dei sandali bassi.
Gli uccellini cinguettano, c’è odore di fiori: adoro l’estate, mi fa sentire viva, elettrica. Forse, però, l’asfalto di Roma non è il luogo migliore per godersela, e l’unica cosa che desidero in questo momento è rintanarmi nel mio appartamento con l’aria condizionata al massimo. Manca poco per essere accontentata: vedo il mio palazzo in lontananza, affretto il passo.
Quando mi trovo di fronte al portone, comincio ad armeggiare per tirare fuori le chiavi dalla tasca. Ed è in quel momento che succede: mi si rompe un sacchetto, e la frutta si sparpaglia per tutto il marciapiede. “Ma porca di quella…”
Qualcuno apre il portone dall’interno, ma io sono impegnata a raccogliere da terra i miei limoni e le mie ciliegie: non alzo nemmeno lo sguardo e farfuglio un “adesso mi sposto subito, mi scusi…”. Quel qualcuno si china di fronte a me e mi porge gentilmente un’albicocca raccolta da terra. Alzo lo sguardo, faccio per ringraziare quando, di colpo, mi blocco: di fronte a me c’è la ragazza del palazzo di fronte. Quella che mi aveva sbirciato dalla finestra mentre mi coccolavo nuda sul divano. Quella che mi aveva mandato un bacio e poi era sparita senza lasciare traccia.
Rimango per un poco interdetta, indecisa sul da farsi. Anche lei ha qualche attimo di esitazione, ha uno sguardo interrogativo. Capisco che mi ha riconosciuto quando, improvvisamente, scoppia a ridere e mi manda un bacio al volo, esattamente come aveva fatto quella sera. Rido con lei.
Ci alziamo entrambe da terra, e mi prendo qualche istante per osservarla da vicino: ha lunghi capelli neri, liscissimi, che le arrivano fino al sedere. Indossa un vestito rosso corto, e ha uno sguardo malizioso. Sa di buono e di fresco, di sapone e di agrumi.
Ci presentiamo: mi parla in inglese con un forte accento spagnolo, e mi dice che è venuta a trovare la sua vecchia zia italiana, la sig. Paoletti, che abita nell’appartamento di fronte al mio. Ci attardiamo un pochino sul portone, parlando del più e del meno, poi lei mi offre una mano con la spesa. Prima che io abbia il tempo di declinare, mi prende dalle mani il sacchetto ancora integro, apre il portone e mi sorride, in attesa. Ricambio il sorriso e la seguo.
Camminiamo lentamente nel cortile, chiacchierando; è piacevole, come una brezza fresca in una giornata calda. Mi chiede se ho fretta; rispondo di no. Ci sediamo allora su una panchina, e continuiamo a parlare. Lei mi chiede da quanto abito qui, io l’ascolto mentre mi racconta di Màlaga, la sua città. Ridiamo, scherziamo: parliamo in un misto di inglese, italiano e spagnolo.
Il tempo scorre con naturalezza, tanto che non mi accorgo che si è fatto tardi: il cielo ha cambiato colore, comincia a scendere la sera, e le luci delle finestre dei palazzi si accendono. Lei, mentre parla, infila una mano nel sacchetto della frutta, e si porta alla bocca una ciliegia. Io la osservo in silenzio, e ripenso alla prima volta che l’ho vista, quando abbiamo giocato alla finestra. Lei si gira, mi guarda, e mi chiede se anche io voglio una “cereza”. Detto dalla sua bocca ha un suono meraviglioso, ma non capisco subito a cosa si riferisce. Allora lei mi indica la ciliegia che ha in mano, e poi me la porge.
Schiudo lentamente le labbra, incerta, poi accetto la ciliegia dalle sue dita, e le sfioro la pelle con la lingua. Ho un brivido. Lei sorride in maniera furba, e prende un’altra ciliegia dal sacchetto. Mi guarda, se la porta alla bocca, e la prende tra i denti e tra le labbra. Rimane così, per un poco, e poi si sporge verso di me. Sento ancora più forte il suo odore, e lo trovo inebriante.
Avvicina la ciliegia alla mia bocca con le sue labbra: sento il suo profumo, il suo respiro, la sua pelle calda. Ci sfioriamo, labbra contro labbra. È un incontro delicato e succoso, quando le nostre lingue si toccano spingendo la ciliegia nella bocca dell’altra. Lei si allontana piano, poi, e io mangio la mia ciliegia.
Ho voglia di sentire ancora il suo sapore, dolce e aspro come quello della frutta. Mi guardo intorno, poi le chiedo: “ti va di salire? Ti offro un bicchiere di vino”. Lei annuisce e sorride.
Ci incamminiamo allora verso l’ingresso della mia scala. Mentre prendo le chiavi, a lei suona il cellulare. Sento che risponde, parla in spagnolo. Attacca subito il telefono, sembra dispiaciuta. Mi guarda, fa spallucce, e poi mi dice: “devo andare, scusa”. E corre via.
Io rimango interdetta sulla porta per qualche istante. Affascinata dall’aria di mistero di questa ragazza che sa di ciliegia, e che ha la capacità di sparire nei momenti più belli.
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